giovedì 2 dicembre 2021

Miraphorando: K-drama della settimana: The King: Eternal Monarch

RECENSIONE DEL DRAMA COREANO
"THE KING: ETERNAL MONARCH"

DI MIRAPHORANDO

Miraphorando: K-drama della settimana: The King: Eternal Monarch:

"Eravamo tutti eccitati come scolarette all'idea di un nuovo drama della sceneggiatrice di Goblin Mr.Sunshine con Min Ho post militare che fa il suo ritorno trionfale, Do Hwan lucido e impettito e una trama super intrigante. I teaser e le foto promozionali mi hanno mandata in orbita, poi ho iniziato a guardarlo e la gravità ha fatto il suo lavoro, facendomi precipitare nel baratro del WTF".

venerdì 26 marzo 2021

VIA URBANA

    


La Via Urbana è una strada del centro storico di Roma, a metà tra i Rioni I Monti e XV Esquilino. È lunga 600 metri e si trova alcuni metri sotto la sede stradale della parallela Via Cavour, a causa dell'avvallamento tra il Colle Esquilino e il Colle Viminale. Ha un andamento in discesa, da nord est a sud ovest, grosso modo dalla zona della Stazione Termini alla zona del Foro Romano. Parte praticamente da sotto la trasversale Via Torino, là dove si apre un'ampia rimessa "sotterranea" di auto, che ha l'uscita posteriore su Via Rosmini.

Sulla sua sinistra, come detto, corre quasi parallela la Via Cavour, di qualche metro sopraelevata (Via Cavour comunque è molto più lunga e prosegue oltre i termini di Via Urbana sia in un senso che nell'altro); la parallela di destra è Via Cesare Balbo, ma solo per i primi due terzi; la restante parte forma un trapezio rettangolo con le Vie Panisperna, Leonina e del Boschetto, all'interno del quale corre per 250 metri la parallela Via dei Capocci. Mentre l'isolato tra Via Urbana e Via Balbo è ampio 80 metri, quello tra Via Urbana e Via dei Capocci è largo soltanto 50 metri. Con la Via Cavour passa dalla distanza massima dell'isolato costituito dall'Ambasciata Argentina a Piazza dell'Esquilino, largo circa 80 metri, alla distanza minima di una trentina di metri all'altezza di Piazza della Suburra.

La strada ha tre traverse sul lato sinistro e cinque sul lato destro. La prima traversa a destra è Via Agostino De Pretis, in esatta corrispondenza, a sinistra, con la Piazza dell'Esquilino. Proseguendo si trovano prima Via Ruinaglia a sinistra, poi Via Caprareccia a destra. A metà del percorso circa si trova una lunga ampia traversa, che porta il nome di Via di Santa Maria Maggiore verso sinistra e di Via di Panisperna verso destra. Nell'ultimo tratto ci sono soltanto due traverse sul lato destro: Via de' Ciancaleoni e Via degli Zingari.

Via Urbana riporta 180 numeri civici. È da notare che il numero 1 si trova in un punto apparentemente a caso, ma naturalmente non è così: la strada inizialmente si dipartiva da Piazza dell'Esquilino e solo successivamente il tratto precedente, che finiva sotto la Via Torino, fu accorpato alla Via Urbana e dotato di ulteriori numeri civici. Quindi il numero 1 è il primo portone a sinistra partendo da Piazza dell'Esquilino, che corrisponde all'ingresso delle Suore Oblate di Gesù Bambino, con la data sull'architrave 1872. La numerazione prosegue ininterrotta fino a Piazza della Suburra e l'ultimo civico sulla sinistra è il n.71. Risalendo sulla destra, si continua quindi col numero 72 fino al 167. Tutto questo tratto fa parte del Rione I Monti. Attraversata Via De Pretis, la numerazione prosegue col n.168; l'ultimo grande portone in fondo, che conduce a mo' di galleria, sorta di prosecuzione della strada, sotto la Via Torino, riporta il numero 175. Ma poi completando il giro, di nuovo sul lato sinistro della strada, la numerazione prosegue fino a 180, terminando di nuovo su Piazza dell'Esquilino.

Un'altra cosa da notare è che il breve tratto iniziale, aggiunto, di Via Urbana, non fa parte del Rione I Monti ma del Rione XV Esquilino. La cosa curiosa è che la targa riporta "R. XVIII", cioè il Rione Castro Pretorio, perché nella vecchia suddivisione il Rione XVIII arrivava fino a qui. Questa anomalia si trova anche su altre targhe nel triangolo tra Piazza dei Cinquecento, Piazza del Viminale e Piazza dell'Esquilino.

In epoca romana Via Urbana era denominata Vicus Patricius, poiché era costituita da domus signorili; come spesso accade, bastava fare pochi metri per trovarsi nella zona povera e malfamata della Suburra. L'attuale toponimo deriva dal papa Urbano VIII (1568-1644).


martedì 9 marzo 2021

IL MIGLIOR TEMPO CHE FU



Ricopio qui per intero un commento che ho trovato su Quora. La domanda "Esiste ancora il corteggiamento di una volta ? Oggi l'uomo non corteggia più?" era stata posta da Alessandra Cordeddu il 28 gennaio 2021. La discussione ha virato velocemente sul confronto tra il mondo di oggi e il mondo di ieri. Tra le varie opinioni ho trovato un commento veramente completo e illuminante che desidero copiare qui per intero. L'autore si firma Robby Shima e ha pubblicato il commento il 27 febbraio; il commento che cita e a cui sta rispondendo è stato scritto da Alessandra Pulga il 23 febbraio. Non sono riuscita a risalire all'età di queste persone, comunque la ragazza afferma di avere vent'anni.



IL MIGLIOR TEMPO CHE FU





«Non funzionava perfettamente il mondo di “prima”: perfino oggi si riscontrano in Italia (perché ogni Paese aveva la sua versione di questa vecchia mentalità e quella italiana era abbastanza specifica) dei comportamenti deleteri dalle radici antiche. Ragazzi galletti e ragazze gattemorte se ne trovano ancora, e credo proprio che derivino dal peggio di quella concezione lì — in passato c’erano anche, e relativamente frequenti, bellissime storie d’amore che derivavano invece dal meglio della stessa concezione, cose che appunto oggi sono mica altrettanto comuni.

Il punto è che non è una scelta binaria.

Lo “ieri” andava maluccio, ma è un confronto molto utile per notare come oggi le cose vadano invece in maniera catastrofica. L’accusa principale che si può fare all’”oggi” è che si spacciano (peggio: si indottrinano in ambienti molto più autoritari e bigotti di quanto si creda — la scuola, l’intrattenimento, la propaganda politica) comportamenti edonistici per soluzioni, e si finisce con il non notare né i problemi veri, né come queste false soluzioni, a dosi esagerate, diventino parte del problema.

Le generazioni attuali sono le prime da molto tempo, in Europa, a trovarsi davanti la prospettiva di qualità di vita peggiori rispetto ai loro predecessori, e la degenerazione dei costumi sessuali non ne è certo la causa diretta… ma è il panem et circenses del caso. Ciò dovrebbe essere come minimo esaminato in parallelo all’infantilizzazione del cittadino adulto nell’Europa moderna che, in più ambiti, si può riscontrare; l’ampliamento dei piaceri effimeri, se si accompagna ad un peggioramento delle prospettive di vita, non può promettere bene.

Capisco che tu possa sentirti stufa del “pessimismo” che dici di sentire, potrei dire in realtà che empatizzo molto con questo sentimento. Nascere in un mondo di cui i “vecchi” parlano male senza offrire soluzioni applicabili è frustrante. Ma resta il fatto che questo mondo attuale merita molte più accuse di quanto non ne riceva. I “liberati” di oggi hanno tassi di disagi psicologici ben più alti dei “repressi” di una volta, e la colpa non è della “liberazione sessuale” in sé — ma di quelle abitudini incivili per cui ci viene spacciata questa “liberazione” come cura, e di cui invece essa è solo un pericoloso analgesico.

Un altro problema: dici bene che


penso anche che accettare retaggi culturali arcaici, senza porci domande sulla loro utilità oggi, sia un errore tanto quanto esagerare nel loro opposto.

ma il problema è proprio che oggi non ci si chiede cosa avessero di utile quei retaggi culturali. E non mi riferisco allo stereotipo “si faceva perché lo diceva il prete”, questo sarebbe un modo pigro di liquidare la faccenda. Oggi non ci si chiede quale fosse il vantaggio evoluzionistico di comportamenti responsabilizzanti — ma non necessariamente autopunitivi o ipocriti! — che non sono nati cent’anni fa, ma esistono come minimo da quando (migliaia di anni) fa il modello familiare monogamo e “purista” portato dagli Indoeuropei si dimostrò di gran lunga più efficiente, e soppiantò, il mondo più “sbracato” ed egalitario che gli storici ritengono esistesse in Europa prima di allora.

Qualcuno ha detto che le tradizioni sono soluzioni a problemi dimenticati. Ora, i problemi possono venir dimenticati per due ragioni: perché scompaiono da soli, oppure perché la soluzione era davvero tanto azzeccata da tenere a bada il problema al punto che si è finito per dimenticarne l’esistenza. Dunque le tradizioni le si butta via a rischio di veder riemergere problemi dimenticati, e dover inventare la ruota daccapo. E perché? Perché è divertente mettere il coso nella cosa…? Dovremmo pretendere risposte un po’ più serie di così…

I Classici potevano essere bacchettoni, eccome; con meno ipocrisie dei cristiani, su questo mi trovi d’accordo, ma ad un determinato modo di comportarsi ci tenevano comunque davvero tanto. Non ricordavo la storia del Campo Marzio ma Catone è colui che radiò a vita un senatore dal Senato perché era stato visto baciare la moglie in pubblico (il senatore gli chiese perché e Catone rispose, irremovibile ma ironico: “Mia moglie mi abbraccia solo in casa, e solo quando fuori ci sono i fulmini! E Giove sa se non gli sono grato, quando li manda…”), comportamento inaccettabilmente “pubblico”; ma lo stesso Catone fece i complimenti ad un ragazzo che vedeva andare al bordello (“Perché così non insidia le brave ragazze.” Salvo criticarlo quando lo rivide fare la stessa strada: “Ti ho lodato perché ci vai, mica perché ci abiti!”). Esisteva una logica che chiamare ipocrita vorrebbe dire non conoscerne i fini: il sesso non era visto come un male di per sé; ma era pur sempre una componente potentissima della psiche umana che andava imbrigliata e incanalata per il bene comune.

A pensarci bene, Catone è un esempio fantastico: lui è lo stesso che “prestò” la moglie ad un amico perché ci facesse figli. Ma i Romani avevano problemi gravissimi di denatalità, problemi quasi gravi quanto i nostri, dunque tutto si sottometteva al problema demografico (erano tempi in cui la mortalità durante il parto era troppo comune, anche per questo si glorificava il sesso fertile…). Ecco, loro avevano idee chiarissime del perché dei loro “retaggi culturali”, in questo e in altri argomenti affini (non è peraltro una coincidenza che tutte le civiltà funzionanti aborriscano o perlomeno mettano limiti al sesso sterile ed esaltino quello fertile: di nuovo, nel passato ci si faceva molte più domande sul senso di queste cose che non nel ‘68 e nel post-‘68, quando si è preferito diventare “moralmente agnostici” pur di togliersi qualche prurito).

Ad ogni modo, volevo risponderti in maniera concisa e non ci sono riuscito; te ne chiedo scusa. Termino aggiungendo un pensiero che ritengo importante.

Il pericolo davvero mortale legato alla “spudoratezza” di cui parla il signor Carretta nella risposta originale riguarda due conseguenze comunitarie: la spirale della incontinenza emotiva e l’abitudine all’escapismo edonistico.

L’incontinenza emotiva è estremamente pericolosa sul lungo termine perché spettacolarizza comportamenti deleteri a danno di comportamenti efficaci. È un discorso complesso che tralascio qui (ma se ti interessa, ti consiglio 
questo articolo d’opinione) perché mi interessa il secondo.

L’escapismo edonistico è invece cosa ben più grave, soprattutto a livello sociale: perché non è la soluzione né la ricerca di soluzione, bensì la ricerca di analgesici che non solo non funzioneranno (a lungo termine) ma distraggono dalla ricerca, appunto, di soluzioni.

In un’intervista in cui gli si chiedeva di spiegare il ruolo preminente delle droghe nel suo romanzo distopico (Il mondo nuovo), Aldous Huxley rispose che il loro ruolo era semplice ma indispensabile: “Rendono sopportabili delle condizioni di vita che, francamente, non dovrebbero essere sopportate”.

Peggio ancora in un mondo che non è quello iperregolato del suo romanzo, ma il mondo di rapidissimi cambiamenti sociali e culturali in cui viviamo (troppo rapidi perché l’abitudine abbia “comportamenti testati” da offrirci, per il momento): il povero atomo, che non conoscerà mai né ha gli strumenti per costruirsi né si accorge di non conoscere libertà che i suoi nonni, bisnonni e antenati davano per scontate, si aggrappa ai facilitatori della sua schiavitù (= l’edonismo, l’escapismo, le identità sessuali erette a baluardo polemico contro il resto della sua società ecc.) come se fossero la sua unica ancora di salvezza. E lo sono, se vogliamo chiamare “salvezza” la non coscienza delle sue catene; non lo sono, se con quel termine vogliamo definire la sua uscita dal suo stato di asservimento.

L’ipersessualizzazione è, d’altronde, uno degli ingredienti principali di quella “fogna comportamentale” descritta e analizzata dal Prof. John Calhoun nel suo famoso esperimento della cosiddetta Rat Utopia. Se hai piacere (e tempo), ti consiglio caldamente questo bel documentario. Personalmente l’ho trovato molto più interessante dei soliti confronti con immagini (falsate) di Greci e Romani degenerati:
https://youtu.be/NgGLFozNM2o »

mercoledì 28 ottobre 2020

I QUATTRO MISTERI CENTRALI DEL ROSARIO

I QUATTRO MISTERI CENTRALI DEL ROSARIO 




Come tutti sanno il Rosario completo comprende venti misteri della fede cattolica, suddivisi in gioiosi, luminosi, dolorosi e gloriosi. I raggruppamenti sono per argomento: la nascita di Gesù, la sua vita pubblica, la passione e la morte, gli eventi successivi alla morte. Essendo cinque per ogni tematica, ne deriva che nella progressione meditativa il mistero numero tre è sempre quello centrale. In realtà questa centralità non è meramente aritmetica, ma teologica. Nella vita terrena e ultraterrena dell’Uomo Dio ci sono quattro momenti significativi che possono darci il senso spirituale dell’intervento di Dio nel mondo.

Il primo mistero centrale è quello gaudioso e naturalmente è la nascita di Gesù. La nascita di Gesù è il momento culminante dell’Incarnazione e quindi della storia di Dio con noi.

Il secondo mistero centrale è quello luminoso: nel momento in cui Dio, dalla sua infinità, si avvicina e si accompagna a noi miseri e miserabili, per raccontarci la nostra grandezza, l’annuncio, la predicazione, il kerigma, ha la centralità teologica, perché il fulcro della venuta di Dio sulla terra è stato farsi conoscere e rivelare il Padre.

I misteri dolorosi hanno il loro centro teologico nell’incoronazione di spine: l’incoronazione di spine ci dice di quale regalità Cristo è venuto a rivestirsi. Ciò che si intende per regalità, nel cristianesimo e nella Chiesa, sta tutto qui: una corona piena di spine conficcata con ludibrio, a farci gettare il sangue. È la corona del martirio.

Infine al centro dei misteri gloriosi abbiamo la Pentecoste. La vera vittoria e gloria ottenuta da Dio attraverso il proprio stesso sacrificio è aver donato il suo Spirito alla Chiesa, una volta e per sempre.

La storia della salvezza, di cui eventi fondamentali sono stati la rivelazione, l’incarnazione, l’istituzione dell’eucaristia, la resurrezione, attraverso i quattro misteri centrali del Rosario ci viene presentata nei suoi momenti di svolta, che potrebbero essere meditati anche uno di seguito all’altro per riflettere su quanto Dio ci abbia amato e che cosa abbia fatto per avvicinarsi alle sue creature e salvarle da se stesse: nascere, predicare, soffrire, donarci il suo Spirito

lunedì 23 marzo 2020


J A C K   R Y A N  &  J A C K   R E A C H E R





Perché alcuni personaggi fittizi sono quasi sinonimi? Ci confondono. Perché non si chiamano, per esempio, Abel e Maurice? No, Jack Ryan e Jack Reacher. Ammazza. Stesso nome, stesse iniziali! Almeno chiariamo una cosa: Ryan è un agente della CIA, Reacher no, è un veterano vagabondo (tipo Rambo), che risolve casi intricati. Inoltre Ryan fa carriera fino a diventare Presidente degli Stati Uniti. Ryan è il personaggio precedente: il primo romanzo su Ryan è uscito nel 1984, l’altro tredici anni dopo, nel 1997. 

Ryan è un classico cognome anglosassone che significa più o meno “re”, “regale”; Reacher invece significa “colui che raggiunge”, e potremmo pensare a uno scopo, un risultato. Entrambi sono personaggi letterari protagonisti di numerosi romanzi, ma l’autore di Ryan è morto, l’altro no, quindi presumibilmente avremo altri romanzi con Reacher, oltre i VENTIQUATTRO già pubblicati; Ryan invece s’è fermato a VENTI. 

Vediamo altre differenze. Sono entrambi americani: Ryan ha origini irlandesi, Reacher ha la mamma francese. Reacher è nato nel 1960, mentre Ryan è certamente più anziano perché nel primo romanzo, “La grande fuga dell’Ottobre Rosso” del 1984, è già un funzionario della CIA. Possiamo ipotizzare che Ryan abbia più o meno la stessa età del suo creatore Tom Clancy, nato nel 1947. 

Quindi sono entrambi americani e agiscono nell’epoca contemporanea, che a un certo punto si sovrappone tra i due personaggi. Ad oggi, marzo 2020, sono usciti sei film su Ryan, con vari protagonisti, mentre su Reacher solo due, entrambi interpretati da Tom Cruise. In elenco cronologico:

1990 Caccia a Ottobre Rosso (Alec Baldwin, 32 anni)
1992 Giochi di potere (Harrison Ford, 50 anni)
1994 Sotto il segno del pericolo (Harrison Ford, 52 anni)
2002 Al vertice della tensione (Ben Affleck, 30 anni)
2012 Jack Reacher - La prova decisiva (Tom Cruise, 50 anni)
2014 Jack Ryan – L'iniziazione (Chris Pine, 34 anni)
2016 Jack Reacher - Punto di non ritorno (Tom Cruise, 54 anni)

Inoltre esiste la serie televisiva “Jack Ryan”, con il quarantenne John Krasinski, di cui sono state prodotte due stagioni nel 2018 e nel 2019. La tipologia di film è molto simile, sono dei thriller d’azione, ma sostanzialmente i film “Ryan” sono di spionaggio, quelli “Reacher” polizieschi. 

Veniamo ora ai due autori. Tom Clancy (1947-2013) è di Baltimora, sulla costa orientale degli Stati Uniti, 300 km a sud di New York. Nella sua prima vita fa l’assicuratore, nonostante la laurea in lettere; a 37 anni pubblica il suo primo romanzo che ottiene un successo mondiale. Muore di infarto a 66 anni. Lee Child (n. 1954) è inglese, si laurea in legge e comincia a lavorare come produttore televisivo; a quarant’anni perde il lavoro e scrive il suo primo romanzo, che ha un enorme successo. 

Così abbiamo messo un po’ d’ordine tra Jack Ryan e Jack Reacher, speriamo di avere le idee più chiare in futuro.

mercoledì 5 febbraio 2020


SORRISI DI UNA NOTTE D’ESTATE


Recensione & Spoiler


Risultato immagini per sorrisi di una notte d'estate"



Recentemente ho potuto vedere il film di Ingmar Bergman del 1955 SORRISI DI UNA NOTTE D'ESTATE, che vinse anche un premio a Cannes e fu il primo grande successo internazionale del regista svedese.

Nel 1973 ne fu realizzato un musical negli Stati Uniti, "A Little Night Music", con la medesima ambientazione e rappresentato anche in Svezia, Austria, Spagna e Finlandia, ma non in Italia. Da questo musical teatrale fu poi tratto quello cinematografico di Harold Prince del 1977, ambientato però in Austria. In Italia uscì stranamente col titolo "Gigi", da non confondere con l'omonimo film di Vincente Minnelli del 1958, forse perché una delle attrici secondarie aveva partecipato ad entrambi e anche il periodo è lo stesso, i primi anni del '900.

Il film di Bergman fu proiettato anche in Italia con un adattamento ampiamente censurato nei dialoghi e alcuni tagli; anche alcuni nomi vennero cambiati. Nel 2008 la Hobby & Work ha pubblicato un'edizione in dvd completa delle scene tagliate e con sottotitoli che traducono fedelmente l'originale svedese. Il personaggio maggiormente rimaneggiato è quello del seminarista Henrik, figlio dell'avvocato Fredrik e segretamente innamorato della sua giovanissima matrigna, la seconda moglie del padre, con la quale fuggirà alla fine del film. Nella versione italiana Henrik non è un seminarista ma uno studente di filosofia e Fredrik non è suo padre ma suo zio. In questa maniera la censura raggiunse un duplice obiettivo: impedire che venisse rappresentato un seminarista, ancorché luterano, che ci prova con la cameriera e alla fine cede alla tentazione di fuggire con una donna (diventerà ugualmente pastore?); impedire che venisse rappresentato in maniera positiva e liberatoria un incesto, di cui tra l'altro il padre-marito si consola immediatamente. Inoltre molte battute ritenute eccessivamente scabrose furono moderate e interi dialoghi tagliati.

Il titolo innegabilmente riporta a "Sogno di una notte di mezza estate" di Shakespeare del 1595. Gli elementi in comune sono un magico elisir d'amore, lo scambio delle coppie e naturalmente la notte di San Giovanni, cioè la notte tra il 23 e il 24 giugno, festa di San Giovanni Battista (benché dopotutto non sia affatto di "mezza" estate). Tradizionalmente è considerata una notte magica per gli innamorati. Inutile cercare una corrispondenza tra i personaggi: ci sono coppie e ci sono scambi. Fredrik ama sua moglie Anne, che prova per lui un tenero affetto ma non gli si è mai concessa. Anne prova una inconfessata passione per il figliastro Henrik, che certamente la ricambia ma nel frattempo cerca di sedurre la cameriera Petra, una diciottenne che ha già avuto molti amori. Desirée è da sei mesi l'amante di Carl ma lo lascia perché desidera riconquistare il suo vecchio amore Fredrik. Carl è sposato con Charlotte, entrambi hanno degli amanti ma Charlotte è gelosa in particolare di Desirée; Carl infatti non si rassegna ad averla persa.

Desirée, per raggiungere il suo obiettivo, chiede aiuto alla madre, una ricchissima vedova che ha avuto molti amanti e vive in una grande villa in campagna. La madre invita tutti a trascorrere alcuni giorni da lei; in questa occasione Petra conosce il cocchiere Frid: quella notte i due faranno l'amore nel bosco e la mattina dopo Petra riesce a strappargli una promessa di matrimonio. La sera del 23 giugno Beata offre ai suoi commensali un elisir d'amore: "Questo vino proviene da uve il cui succo sprizza come gocce di sangue sopra una candida pelle. In ogni botte era versata una goccia di latte dal seno di una donna al suo primo puerperio e una goccia di seme di un vigoroso stallone. Questa mistura dona a questo vino un potere misterioso e seduttivo, e chiunque si accinga a berlo lo fa a suo rischio e pericolo per le eventuali conseguenze". La trovata del vino riprende chiaramente quella del succo magico di Oberon, il re degli elfi: "Vidi volare Cupido tra la luna e la terra. Prese di mira una vestale e scoccò la sua freccia d'amore. Potei vedere la freccia spegnersi nei raggi della luna, ma osservai che era caduta su un piccolo fiore, prima bianco, ora rosso per la ferita d'amore. Il suo succo, versato su palpebre addormentate, farà impazzire uomo o donna per la prima creatura vivente che vedrà". Dal momento che la madre di Desirée è un'anziana ex libertina vestita sempre come una regina, si può ipotizzare che sia una trasfigurazione del personaggio di Oberon?

Ognuno dei commensali beve il vino pensando al "proprio" amore: Fredrik pensa ad Anne, Anne pensa a Henrik (ricambiata), Carl pensa a Desirée, Desirée pensa a Fredrick, Charlotte pensa a Carl. La prima coppia che rompe gli schemi è quella di Henrik e Anne, che fuggono insieme. Charlotte seduce Fredrik scatenando la gelosia del marito, che torna ad amarla. Fredrik e Desirée tornano insieme. Dalle tre coppie che c'erano all'inizio del film, Fredrik & Anne e Carl & Desirée, e quella non riuscita di Henrik e Petra, se ne formano quattro, grazie all'arrivo di Frid e Charlotte che "si prendono" Petra e Carl. Il numero richiama le quattro coppie che si sono formate alla fine della commedia di Shakespeare: la coppia inossidabile di Teseo e Ippolita, poi Oberon e Titania, che torna al suo legittimo consorte dopo la sua avventura con Bottom, Lisandro ed Ermia, dopo la momentanea follia d'amore di lui per Elena, e infine Elena che riconquista Demetrio, che l'aveva lasciata per amore di Ermia. Ritorna nel film di Bergman la figura di una donna alta e non molto attraente che è stata in un certo senso "abbandonata" dal marito per un'altra donna che non lo vuole. Ritorna la fuga degli amanti. Ritorna l'amore libero e selvatico di due creature nella natura boscosa e notturna.

Sono proprio Petra e Frid a svelare il segreto dei sorrisi della notte di San Giovanni (da tenere conto che il 24 giugno in Svezia il sole sorge verso le 2.30): "La notte d'estate ha tre sorrisi. Il primo è fra mezzanotte e l'alba, quando i giovani innamorati si aprono i cuori a vicenda. E' un sorriso così tenue e lieve che bisogna ricercarlo con molta attenzione per poterlo notare. L'amore sfiora i giovani innamorati come un dono e una punizione. Alle tre di notte la sera d'estate è al suo secondo sorriso, per gli incoscienti e gli sciocchi senza alcuna speranza. Al mattino, la notte d'estate sorride finalmente a coloro che sono tristi e scoraggiati, agli insonni e alle anime perse, a coloro che hanno paura e che si sentono soli". La versione italiana attribuisce il terzo sorriso a "tutti coloro che han trovato la pace e la gioia di vivere in un'anima gemella", spoetizzando totalmente la battuta scritta da Bergman.

Woody Allen ne fece un remake nel 1982, ambientato nei pressi di New York nel 1904, riducendo le coppie a tre. [SPOILER] La scelta della partitura di Mendelsshon riallaccia però il suo film in maniera più esplicita alla commedia di Shakespeare. Inoltre tutta l’ambientazione è decisamente più svecchiata e ironica rispetto al film di Bergman. Quindi il protagonista Andrew non è più un avvocato ma un agente di Wall Street, che nel tempo libero si diletta a fare l’inventore e ha ideato una sfera magica capace di proiettare immagini, non si sa se dal presente, dal passato o dal futuro (e sarà l’elemento magico del film); ed è lui il proprietario della villa. Da tempo non ha rapporti con la moglie Adrian, che lo ha tradito col suo migliore amico Max, il quale quindi adombra Henrik, ma con una personalità del tutto diversa. La seconda coppia è rappresentata da un professore borioso e dalla sua fidanzata Ariel, che è anche una ex fiamma di Andrew, similmente a Carl e Desirée rispetto a Fredrik; tuttavia qui alla fine Ariel troverà il suo amore in Max, perché la coppia Andrew-Adrian resterà insieme. Infine abbiamo Max che, anche qui, ha un interesse per una infermiera frivola e sessualmente disinvolta, come Petra, che accetterà senza riserve le avance del professore, il quale quindi ricalca pure la figura di Frid, anche per l’atteggiamento “naturalistico” nei confronti del sesso.

La parte del film di Allen in cui Andrew e Max corteggiano entrambi Ariel, in maniera anche violenta, ricalca la situazione shakespeariana di Ermia contesa tra Lisandro e Demetrio. E così, anche, alla fine Andrew, come Demetrio, torna al suo antico amore. 

venerdì 19 luglio 2019

"Black Butterfly", recensione e spoiler


“BLACK BUTTERFLY”
 Recensione film con spoiler e finale

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BLACK BUTTERFLY, la farfalla nera, è un thriller statunitense del 2017, remake del film francese del 2007 “Papillon noir”; il soggetto è di Hervé Korian. Il titolo si riferisce al tatuaggio di una farfalla nera sulla schiena dell’antagonista Jack, interpretato da Jonathan Rhys-Meyers; il protagonista, lo sceneggiatore Pablo, è interpretato da Antonio Banderas. 

Il film ha tre incipit. La prima scena mostra un uomo ammanettato su una sedia, di spalle. Poi il titolo. Il secondo incipit mostra uno scrittore seduto alla macchina da scrivere, inquadratura sul foglio: c’è scritto ripetutamente “I’m stuck”, “sono bloccato”. E' una citazione della scena del film “Shining” in cui Wendy Torrance fa la terribile scoperta che il marito, romanziere, per mesi ha battuto a macchina una sola frase su centinaia di fogli: “All work and no play makes Jack a dull boy”. Questo incipit ci suggerisce subito che lo scrittore è pazzo e, probabilmente, un assassino. Pablo si appoggia pensieroso allo schienale della poltrona, dopodiché si passa immediatamente al terzo incipit. In un’amena radura del Colorado una famigliola si appresta a tornare a casa a conclusione di un pic-nic. Tra i tavoli e le auto, la giovane mamma scompare nel nulla. Ognuno di questi tre incipit avrà la sua conclusione. 

Comincia il film. Mentre Pablo sta lasciando la sua baita (richiamo a molti libri di Stephen King), arriva inaspettatamente l’agente immobiliare Laura con dei clienti per l’acquisto dell'immobile, che evidentemente è in vendita. In questa circostanza veniamo a sapere che lì il cellulare non prende, come si conviene in un thriller. Pablo la invita a pranzo più tardi, al ristoro a valle, e Laura accetta. Una grande panoramica mostra l’auto di Pablo che percorre un classico tornante di montagna, una metafora della tortuosità della trama e del personaggio. Pablo arriva in uno spaccio dove la radio ci rivela che la donna del pic-nic è stata trovata morta e che è la quarta giovane donna scomparsa nella contea di Jefferson negli ultimi tre anni. Più tardi sapremo che di tre di loro sono stati ritrovati i cadaveri, mentre della prima non si sa più nulla. Questo ci fa capire che c’è un serial killer in zona, e probabilmente è Pablo. Il venditore fa un’affermazione che secondo me si ricollega a qualcosa che viene detto alla fine, e cioè che un detenuto costa alla Stato trentaseimila dollari all’anno. Dalla conversazione capiamo che Pablo ha un grosso conto arretrato da pagare. Il venditore, vedendo il fucile, chiede a Pablo se ha preso qualcosa, a caccia, e Pablo risponde: “Sì, un’oca, e bella grossa”. Anche questa frase ci fa pensare che Pablo sia il serial killer e che l’oca che ha catturato sia in realtà la giovane donna. D’altra parte nell’auto c’è effettivamente una grossa oca.

Mentre si reca al ristoro, Pablo riceve una telefonata dal suo agente che gli dice che gli ha rimandato indietro la sua sceneggiatura senza consegnarla al produttore, perché non ha apportato le correzioni richieste. (Quindi è uno sceneggiatore). La reazione di Pablo è abbastanza violenta, scaraventa il cellulare sul tappetino. In quel momento raggiunge un autorimorchio che va un po’ lento e che gli impedisce il sorpasso (l’attore che lo guida è il regista): la scena che segue è una esattissima citazione di “Duel”: questo può lasciare perplessi rispetto al fatto che Pablo sia l’assassino. Infatti l’automobilista, in "Duel", è una vittima, è una persona in pericolo che viene vessata inspiegabilmente da un camionista pazzo che quasi lo uccide. Questa è una anticipazione di quello che succederà dopo: Pablo sarà vessato e quasi ucciso, senza alcun motivo apparente, da un pazzo. 

Durante il pranzo Laura dice a Pablo di aver cominciato da poco a fare l’agente immobiliare e che lui è la sua prima vittima. Un linguaggio abbastanza singolare che poi si capirà in seguito. Laura non può restare e quindi Pablo la invita a cena a casa sua per il sabato alle otto. Laura va via e il camionista, che nel frattempo è arrivato ed è molto irritato, cerca di attaccare briga con Pablo, che viene salvato da un giovane avventore, Jack. Jack trascina il camionista fuori, lo sbatte su un’auto e gli sussurra qualcosa all’orecchio. Quello va via. 

Tutto quello che è successo finora può essere considerato lo svolgimento della trama che si conclude con un uomo ammanettato a una sedia. Questo però lo si capisce soltanto verso la fine. Noi non sappiamo chi è l’uomo sulla sedia e perché è ammanettato: potrebbe essere un innocente vittima di un pazzo, o l’assassino catturato dalla polizia. 

A questo punto comincia la parte centrale della trama: Pablo dà un passaggio a Jack e lo ospita a casa sua. Jack si offre di fargli dei piccoli lavoretti, è abbastanza insistente, si offre anche di aiutarlo a scrivere la sua sceneggiatura. Gli suggerisce come spunto proprio il loro incontro. Jack ha un comportamento strano e non sembra affatto un tipo raccomandabile. Tutto il film d’ora in poi si svolge nella baita. Fa quasi pensare a “Secret Window”, anche se si capisce abbastanza presto che Jack non può essere un personaggio immaginario.

Jack: Bella preda (riferendosi all’oca).
Pablo: Sì, posso dire di avere una bella mira, modestamente.

Lo sceneggiatore semina un mucchio di indizi. Jack, quando Pablo non lo vede, lo guarda veramente male, e lo tiene comunque sempre d’occhio. Si guarda intorno. Non sembra che si trovi lì casualmente. Parlano anche dell’ex moglie di Pablo:

Jack: Hai una domestica?
Pablo: No, non più, penso che lavori per la mia ex.
Jack: È una battuta?

Pablo: Mia moglie mi faceva sprangare tutte le finestre, aveva paura.
Jack: Di che cosa?
Pablo: Che ne so, dell’isolamento.

Comincia anche la scena ricorrente in cui Pablo si sveglia di soprassalto. Se la si considera una citazione di “Secret Window”, anche questo particolare riporta al fatto che lo scrittore sia l’assassino. Del resto un risveglio improvviso avviene anche alla fine del film, come vedremo. Le premure insistenti e abbastanza ossessive di Jack, che rendono di fatto Pablo prigioniero in casa sua, e soprattutto l’offerta di aiutarlo a scrivere la sceneggiatura, riportano alla mente “Misery non deve morire”. Lo sguardo di Jack, mentre osserva la foto della moglie di Pablo, è davvero feroce, e fa venire in mente che Jack abbia qualcosa di personale al riguardo.

A metà del film Jack suggerisce a Pablo che forse il loro incontro non è stato casuale e che lui e il camionista fossero d’accordo. Inoltre lo sveglia puntandogli un coltello alla gola, per dimostrargli cosa renda avvincente una sceneggiatura. Pablo a questo punto va a indagare nello zaino del ragazzo e trova ritagli di giornale di ragazze scomparse e alcuni strumenti misteriosi, apparentemente di tortura e sporchi di sangue. Il giorno dopo, mentre scrive, sente uno strillo e un colpo di fucile; chiede lumi a Jack, ma questi nega di aver sentito un urlo.

Pablo: Hai sentito un urlo? Sembrava un urlo di donna (citazione da “Profondo rosso”).

C’è da dire che il comportamento di Pablo appare abbastanza strano: voglio dire, se io ospitassi a casa un pazzo che mi punta un coltello alla gola mentre dormo, alla prima occasione me la filerei. Invece Pablo sembra più che altro… pensieroso, riguardo al temibile comportamento di Jack. Questa è l’unica perplessità che possa giustificare ciò che Pablo dice verso la fine, e cioè che aveva un obiettivo fin dal momento in cui gli ha offerto un passaggio.

Arriva un fattorino a portare delle provviste; Jack minaccia Pablo con un fucile perché non si allontani. Finalmente Pablo si ribella e tira pure un cazzotto a Jack, che reagisce pestandolo duramente. A questo punto l’atmosfera folle e claustrofobica è completa. Pablo cerca di fuggire nottetempo con l’auto, ma viene beccato da Jack, che aveva preso le chiavi. Il quale tuttavia non gli spezza le gambe, come potrebbe sembrare dall’andazzo del film. A dire il vero Pablo dice che, in piena notte e sotto un vero diluvio, se ne stava semplicemente andando a bere da solo da qualche parte; nel borsone ha solo bottiglie di liquore. Jack lo costringe a gettarle via tutte, lo riporta a casa e lo mette alla macchina da scrivere. Di nuovo Pablo scrive follemente soltanto “vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo”…

Arrivano le venti del sabato. Laura arriva per la cena. Pablo senza tante spiegazioni la fa salire velocemente in auto e scappano insieme, ma di nuovo trovano Jack in mezzo alla strada che spara all’auto, poi li costringe a spingerla dentro un laghetto artificiale davanti alla baita. 

Ora anche Laura è prigioniera di Jack. A dire il vero non sembra particolarmente spaventata, non sembra una giovane donna che è stata appena catturata e imprigionata da un pazzo in una baita isolata. Non supplica, non piange, non dice niente. Subito dopo arriva anche il vicesceriffo che mostra a Pablo, mentre Jack di nascosto gli tiene il fucile puntato addosso, la foto di una donna, una postina che quel pomeriggio doveva portargli un pacco, e che è scomparsa (probabilmente quindi è la donna che Pablo aveva sentito urlare, anche se non sono passate poche ore ma più di un giorno: non si capisce se è un errore della trama o una cosa voluta). 

Improvvisamente Pablo urla al vicesceriffo, Jack esce di casa sparando, Pablo chiude la porta a chiave e si barrica dentro con Laura. Vediamo Jack che spara dentro il portabagagli, dove presumibilmente ha fatto salire il vicesceriffo. Una scena che lascia qualche dubbio, perché in effetti non ci sarebbe bisogno di far salire un tipo dentro il portabagagli, prima di sparargli. Inoltre ho pensato: “Dev’essere proprio un incapace questo poliziotto, per farsi sorprendere così senza tirare fuori velocemente la pistola”. La reazione di Pablo, quando più tardi urla contro Jack, è di nuovo abbastanza singolare: invece di essere terrorizzato, lo rimprovera per l'omicidio come se la morte del vicesceriffo fosse stata un incidente di percorso, ancorché grave (“tu hai perso completamente la testa”).

Pablo fa entrare Laura in camera, si chiudono a chiave. Laura finalmente si mostra terrorizzata, ma Pablo la zittisce dicendole che deve pensare. E lei gli ubbidisce standosene lì tranquilla, cosa abbastanza inverosimile: chi se ne starebbe zitto da una parte a far decidere della sua vita a un conoscente? Pablo suggerisce di scappare di corsa attraverso il bosco per tre chilometri, per raggiungere i binari della ferrovia, dove ogni mezz’ora passa un treno, e potrebbero saltarci sopra (beh…). Scappano in effetti, lei non è veloce e rallenta la corsa; infine si trovano Jack davanti, che li minaccia col fucile. Devono tornare indietro. 

In un momento opportuno, Laura arriva alle spalle di Jack e lo pugnala apparentemente alla nuca. Jack non si fa assolutamente niente e viene da pensare che anche questa ragazza dev’essere ben inetta per dare una pugnalata in modo così inefficace. Pablo si impossessa del fucile, ma non spara a Jack; e così Jack glielo strappa di nuovo, poi trascina Laura nell’altra stanza, da dove si sentono colpi e urla, poi più niente. 

Di nuovo Pablo riesce a mettere Jack sotto tiro, accanto al cadavere di Laura. Jack suggerisce di farlo sparire, tanto nessuno potrà mai provare che lei sia stata effettivamente lì quella sera. Ma Pablo preferisce aspettare l’arrivo della polizia. 

Qui arriva il colpo di scena che ricollega la storia al terzo incipit, la sparizione della donna del pic-nic. Pablo afferma di saper riconoscere l’aiuto della provvidenza, quando arriva: si riferisce alla possibilità di far incolpare Jack della morte delle quattro donne. Ma c’è di più: dalle sue parole si capisce come quest’idea gli fosse venuta fin da quando ha visto Jack camminare sul ciglio della strada e gli ha offerto un passaggio e l’ospitalità; il personaggio dello scrittore deluso, se lo è costruito apposta per spingere Jack ad aiutarlo, a trattenersi a vivere con lui, in attesa di trovare l’occasione per incastrarlo. Ha sempre recitato una parte. C’è da dire che tutto questo, riguardando il film, non emerge affatto dalla recitazione di Banderas.

Pablo prosegue riferendo anche dei colpi di fortuna avuti nelle varie occasioni in cui ha potuto sequestrare, violentare, torturare e uccidere le sue vittime (ma tutti questi particolari vengono lasciati all’immaginazione). Pablo tira fuori dalla credenza una scatola contenente i monili che ha rubato alle sue vittime, e la mette nello zaino di Jack. Poi gli spara, ma con sua grande sorpresa i colpi sono a salve. Infine Jack colpisce Pablo atterrandolo.

Il terzo incipit si è concluso con il primo finale: la donna uccisa al parco è vittima di un serial killer, e l’assassino è Pablo: da quando ha conosciuto Jack ha cercato l’occasione per incastrarlo, farlo fuori e incolparlo dei delitti. Per questo non aveva cercato di fuggire. Per questo quella sera stava effettivamente andando a bere da qualche parte in santa pace. 

Ma eccoci al secondo finale, che ci riporta al primo incipit: l’uomo legato sulla sedia è Pablo. Attorno a lui vediamo vari agenti dell’FBI: Jack, il vicesceriffo che non era stato affatto ucciso, Laura che non era stata uccisa, il fattorino, la postina scomparsa, il camionista. Jack interroga Pablo per sapere dove ha nascosto il cadavere della prima donna scomparsa, che poi è sua moglie; ma Pablo non si lascia convincere, anzi ritratta la sua confessione e afferma che i monili sono stati messi in casa da Jack stesso (beh, in realtà non funziona così, con le prove…). 

Infine Jack intuisce che il laghetto artificiale è stato fatto proprio sopra la sepoltura della moglie di Pablo; solo a questo punto Pablo propone una piena confessione (certamente più valida in giudizio delle esigue prove raccolte), in cambio dell’ergastolo. Pablo pretenderebbe che tutta la storia avesse il finale scelto da lui. Ma Jack rifiuta l'accordo, scegliendo di fatto per Pablo la pena di morte (questo ci riporta appunto al costo di ogni detenuto per lo Stato).

Buio, poi il terzo finale, che si ricollega al secondo incipit: Pablo si sveglia di soprassalto, si era addormentato sulla poltrona. Ha sognato tutto e ora ha un’idea per la sua sceneggiatura, che intitola appunto BLACK BUTTERFLY.

Il film è molto avvincente e pieno di colpi di scena, ma è come se mancassero dei pezzi, forse a causa di un montaggio non ad arte. Non si spiega per quale motivo Laura abbia pugnalato Jack, consentendo a Pablo di impossessarsi del fucile: avrebbe potuto ucciderli entrambi (non era il fucile caricato a salve!). Non si sa nulla della postina/poliziotta che ha urlato prima dello sparo.

Ora, in questa sceneggiatura o c’è un enorme buco o c’è un paradosso mal gestito. Il film non è lineare perché è vero che abbiamo l’incipit dello scrittore bloccato, poi l’incipit della donna uccisa con appresso tutta la trama del serial killer che cerca di incastrare un vagabondo, il quale a sua volta è un poliziotto che cerca di incastrare il serial killer, e infine lo scrittore che si sveglia e ha solo sognato. Ma le cose non possono essere andate così, perché il film inizia con lo scrittore ammanettato, da cui si potrebbe pensare che tutto il film è un flash back, non un sogno. Il film non racconta come si è arrivati al risveglio di Pablo, ma come si è arrivati alla sua cattura. Se la cattura di Pablo è all’interno di un sogno, beh la trama è del tutto confusionaria e la conclusione del film è decisamente banale, banalizza tutto il film. Il film inizierebbe con un evento onirico, poi si torna indietro, si vede lo scrittore che si addormenta (in realtà si mette solo comodo), inizia il sogno che prosegue fino alla scena della sedia, poi il sogno prosegue un altro po’, poi lo scrittore si sveglia. Non è geniale, è deprimente. Suggerisco che la scena finale sia un incubo psichico di Pablo che è diventato pazzo e sogna di essere ancora uno sceneggiatore. Ma non è così, è effettivamente un errore della trama.